Rimborso IVA eccedente per detrazione: impugnabile senza limiti temporali

12.11.2024

L'amministrazione finanziaria può contestare il credito Iva del contribuente esposto in dichiarazione che non derivi dalla sottostima dell'imposta dovuta, anche se sono superati i termini per l'esercizio del potere di accertamento o di rettifica dell'imponibile e dell'imposta dovuta, senza emettere alcun provvedimento. La richiesta di rimborso Iva quindi può essere oggetto di contestazione e di rifiuto, da parte del fisco, senza limiti di tempo. Sarà il contribuente a dover dimostrare l'esistenza del credito, tramite la produzione delle scritture contabili e dei documenti giustificativi della spesa. È il principio di diritto contenuto nell'interessante sentenza n. 21766 del 29 luglio 2021 emessa dalla Cassazione a sezioni unite.

La questione al vaglio della Cassazione era già stata trattata nel 2016 dalle stesse sezioni unite (Cassazione n. 5096/2016) in relazione all'Ires. In questa pronuncia i giudici avevano stabilito che in tema di rimborso d'imposta, l'amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l'esercizio del proprio potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento.

Nel caso in esame una società fallita riporta in avanti per anni un credito Iva maturato nel 1998 e ne chiede il rimborso tramite istanza in dichiarazione. L'Agenzia invita il curatore a documentare la pretesa, ritenuta a suo parere inesistente, evidenziando che, diversamente, il rimborso doveva ritenersi sospeso. Tale credito viene quindi ceduto a un'altra società ma l'Agenzia, dopo aver ricevuto la notifica della cessione, comunica alla cessionaria che il rimborso non l'aveva mai riconosciuto e che era da considerarsi sospeso. Questa comunicazione viene impugnata dalla cessionaria dinnanzi alla Ctp che da ragione al contribuente. Anche la pronuncia della Ctr, in linea con quanto espresso nella sentenza di primo grado, ribadisce che il credito si doveva ormai ritenere consolidato perché l'Agenzia era decaduta dal proprio potere di accertamento.
La questione arriva così in Cassazione.

La Suprema corte evidenzia, in linea generale, che l'omesso esercizio del potere di accertamento e di rettifica della dichiarazione da parte del fisco rileva sul debito del contribuente.

L'amministrazione inerte, cioè, non può pretendere un'imposta maggiore di quella liquidata in dichiarazione. In definitiva al fisco è concesso di contestare l'esistenza del credito, in base alla documentazione fornita, ma gli è preclusa la possibilità di avviare un accertamento.

Parimenti, rileva la Cassazione, l'amministrazione non può contestare il credito che scaturisca dalla sottostima dell'imposta dovuta che in realtà era maggiore e che è stata evasa: e ciò per il rapporto di proporzionalità inversa tra debito e credito.
Nel caso in esame, invece, in cui il contribuente sceglie "il riporto a nuovo" di un credito preesistente, dopo aver neutralizzato l'obbligo di versamento dell'imposta dovuta, determinando una pretesa ad avere, il rapporto dare-avere resta regolato dalla legge. Di conseguenza è il contribuente che deve provare tramite le scritture contabili l'esistenza del credito.
Né si può ritenere pregiudicato, a parere della Cassazione, il principio di neutralità. In realtà, la possibilità per il fisco di contestare l'esistenza di un credito indipendentemente dalla decadenza dei termini è finalizzata a evitare il riconoscimento di crediti iva inesistenti, sola circostanza che contrasterebbe con il principio di neutralità. Il rimborso in questione riguarda l'eccedenza Iva detraibile che secondo l'Agenzia era inesistente perché non documentata.

Per il principio di neutralità il rimborso va effettuato entro un termine ragionevole e, in ogni caso, il sistema di rimborso adottato non deve far correre alcun rischio economico al contribuente (Corte giustizia causa C-107/10, causa C-274/10, causa C-654/13, causa C-254/16), ma questo non significa che si deve consentire la fruizione di un credito Iva non dovuto perché non provato.

Secondo la Cassazione, in conclusione, la sentenza impugnata dall'Agenzia va cassata con rinvio ad altra Ctr per il riesame della fattispecie in base al principio di diritto secondo il quale l'amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto in dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell'imposta dovuta, anche se i termini per l'accertamento, o di rettifica dell'imponibile, sono scaduti. da fisco oggi.