Reddito d’impresa e deducibilità, l’inerenza del costo va dimostrata

24.04.2025

Con l'ordinanza n. 8120, depositata il 27 marzo 2025, la Cassazione ha dato un ulteriore contributo alla ricostruzione del tema dell'inerenza dei costi, precisando il suo orientamento in ordine al rapporto tra attività sociale, come descritta nello statuto o nell'atto costitutivo, e deducibilità. Il principio che emerge valorizza la concreta e sostanziale azione economica dell'impresa, e la funzionalità del costo a questa, a prescindere dai dati formali.

La fattispecie riguardava l'acquisto, da parte di una società, di un'imbarcazione a motore, con conseguente detrazione dell'Iva e deduzione della quota di ammortamento nell'anno. Il contribuente, per resistere alle richieste dell'amministrazione finanziaria che disconosceva sia la detrazione che la deducibilità, ha allegato la previsione, nello statuto della società, dell'attività di noleggio di imbarcazioni, sostenendo che, per contestare l'inerenza, l'Agenzia avrebbe dovuto dimostrare il diverso utilizzo del bene.

Di diverso avviso è stata la Cassazione, che ha colto l'occasione per fare il punto su alcuni aspetti del problema.

Il principio di inerenza
La deducibilità fiscale di un costo dipende, come noto, dall'inerenza che lo stesso abbia rispetto all'attività di impresa. In altri termini, il costo deve appartenere alle funzioni economiche che l'impresa espleta, e non essere estraneo ad esse; deve rappresentare una spesa fatta per produrre reddito e non una forma di impiego dello stesso.

Alcuni riconducono tale concetto all'articolo 109, comma 5, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, che dispone: "Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi".

In realtà, sostiene la giurisprudenza più recente, questa norma attiene al diverso principio di indeducibilità dei costi relativi a ricavi esenti: il principio di inerenza è, invece, "inespresso", nel senso che non vi è una sua definizione autonoma nei testi normativi. Esso deriva dal concetto stesso del reddito d'impresa e dall'applicazione del principio costituzionale di capacità contributiva (tra le molte: Cassazione n. 450/2018), esprimendo una correlazione tra costi e attività d'impresa in concreto esercitata.

Il giudizio di inerenza e l'onere della prova secondo la Cassazione
Non è sempre agevole determinare quale costo sia dotato di un legame funzionale con la produzione e sia di conseguenza deducibile, anche perché occorre rispettare le scelte discrezionali dell'imprenditore, che può decidere di impiegare come vuole le risorse a disposizione, purché l'impiego sia collegato alla produzione del reddito.

Sul tema è ora intervenuta l'ordinanza in commento, che ha innanzitutto ricordato come, nel giudizio di inerenza, non si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico; neppure assume rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull'inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo. Peraltro, l'onere di provare e documentare l'imponibile maturato e dunque l'esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d'impresa, grava sul contribuente.

La rilevanza dello statuto sociale ai fini della prova
Al fine di adempiere a tale onere probatorio, il contribuente, nel caso che ci occupa, ha rilevato che il costo in questione afferiva proprio ad una delle attività richiamate dallo statuto.

Tuttavia, la giurisprudenza aveva già avvertito che "ai fini della deducibilità dei costi per la determinazione del reddito d'impresa non è sufficiente che l'attività svolta rientri tra quelle previste nello statuto sociale, circostanza che ha un valore meramente indiziario circa la sua ine­renza all'effettivo esercizio dell'impresa, incombendo sul contribuente l'onere di dimostrare che un'operazione, anche apparentemente isolata e non diretta al mercato, sia inserita in una specifica attività imprenditoriale e destinata, almeno in prospettiva, a generare un lucro in proprio favore" (Cassazione n. 2597 del 28 gennaio 2022).

L'ordinanza in commento sviluppa tale principio aggiungendo un tassello argomentativo e affermando che "la pura e semplice previsione di una certa attività nell'atto costitutivo o nello statuto di una società non vale a far ritenere, una volta per tutte, l'inerenza di qualsivoglia costo astrattamente riconducibile alla stessa, giacché, diversamente, siffatta previsione fungerebbe da giustificazione anticipata di ogni costo pur poi non realmente sostenuto; al contrario, l'inerenza si commisura all'effettiva attività d'impresa ed alla funzionalità del costo a questa".

In altri termini, pare di ricavare dalla massima, la società è libera di inserire nello statuto qualsivoglia attività lecita; tuttavia, tale attività, per consentire la deducibilità, deve effettivamente esistere, ed essere collegata funzionalmente al costo. In caso contrario, sarebbe agevole per ogni imprenditore collettivo estendere a dismisura le attività formalmente previste, per poi dedurre uscite patrimoniali ad esse nominalmente corrispondenti. Così, per restare al tema della causa decisa dalla Cassazione, non basta che "sulla carta" (fosse anche la "carta" dotata di particolare solennità dello statuto sociale) sia previsto un qualcosa astrattamente attinente alla spesa fatta, come il noleggio di imbarcazioni, ma occorre che si dimostri come il costo sia funzionale al profitto dell'impresa.

La pronuncia aggiunge dunque un utile profilo di chiarezza, eliminando anche il riferimento al valore indiziario dello statuto affermato da precedenti orientamenti, al tema dell'inerenza e risulta di particolare utilità per la prassi societaria e fiscale.