Per l’attività post fallimento è il contribuente ad agire in giudizio

11.04.2025

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 5524, depositata lo scorso 2 marzo, ha chiarito che se il contribuente continua in modo illecito l'attività, successivamente alla dichiarazione di fallimento, l'avviso di accertamento relativo a detta attività è ad esso relativo. Di conseguenza, legittimato a proporre ricorso tributario contro l'atto impositivo è il contribuente stesso e non il curatore fallimentare, il cui eventuale ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La controversia esaminata dalla Corte di cassazione originava da indagini finanziarie, relative ad un determinato anno di imposta, svolte a carico di un contribuente, già dichiarato fallito anche in proprio nella qualità di socio illimitatamente responsabile di una Snc.

L'ufficio, in particolare, imputava a reddito di quest'ultimo alcune operazioni ritenute non giustificate su due conti correnti intestati a terze società e materialmente eseguite dal medesimo che, per l'effetto, recuperava a tassazione con apposito avviso di accertamento.

Avverso tale atto impositivo, la curatela proponeva ricorso tributario, che veniva rigettato dal giudice di primo grado. Diversamente, la Corte di giustizia chiamata a esaminare il caso in appello, ha accolto parzialmente il ricorso presentato dalla curatela e ha ridotto il reddito accertato, con l'atto impositivo, dall'Amministrazione finanziaria.

L'Agenzia delle entrate proponeva, allora, ricorso di legittimità, affidato ad un unico motivo di diritto, con cui censurava la sentenza impugnata per aver operato un'illegittima inversione dell'onere della prova, facendo gravare sull'ufficio la mancata dimostrazione di ulteriori movimentazioni finanziarie al fine di verificare l'effettiva operatività delle società intestatarie dei conti.

La sentenza di legittimità
La Corte di cassazione accoglie il ricorso dell'Agenzia ma senza esaminarne il motivo di diritto proposto, attesa la sussistenza di un pregiudiziale e dirimente rilievo d'ufficio circa l'improponibilità della causa per difetto di interesse della curatela ad impugnare l'avviso di accertamento in questione.

Difatti – spiegano i giudici di legittimità - l'atto impositivo emesso dall'ufficio aveva ad oggetto redditi imputati all'attività svolta dal contribuente in proprio, successivamente alla dichiarazione di fallimento che aveva attinto non solo la società partecipata ma anche quest'ultimo, nella sua qualità di socio illimitatamente responsabile.

Dunque, la Cassazione, in un precedente specifico, reso tra le stesse parti ed avente ad oggetto diverso anno di imposta (cfr. Cassazione n. 11351/2024), ha già avuto occasione di affermare che "in caso di rapporto d'imposta i cui presupposti si siano formati dopo la dichiarazione di fallimento, sull'assunto che il contribuente dichiarato fallito abbia continuato a svolgere attività in proprio, sussiste la legittimazione di quest'ultimo in ordine all'impugnazione dell'atto impositivo".

Del resto, per orientamento consolidato di legittimità, l'accertamento fiscale avente ad oggetto obbligazioni tributarie i cui presupposti siano maturati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, ovvero nel periodo d'imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, ove sia stato notificato soltanto al fallito, e non anche al curatore del fallimento, è inefficace nell'ambito della procedura fallimentare (cfr. Cass. 18002/2016).

Attività produttiva di reddito dopo il fallimento
L'inefficacia, continua la Cassazione, va affermata anche nella fattispecie – che interessa più da vicino questa analisi - in cui si assuma che il fallito, dopo la dichiarazione di fallimento, abbia continuato a svolgere, in proprio, un'attività produttiva di reddito; l'esercizio di un'attività in proprio da parte del fallito, inoltre, non è astrattamente precluso, come desumibile dall'articolo 46 della legge fallimentare che, nell'elencare i beni esclusi dal fallimento, fa espressamente riferimento a quanto il fallito guadagna con la sua attività, se pure nei limiti di quanto necessario al mantenimento suo e della famiglia.

Ciò posto - secondo i giudici di legittimità - le sezioni unite hanno già chiarito che l'effetto dello spossessamento del fallito non è totale in quanto non opera né con riguardo alle posizioni di natura strettamente personale del debitore né per quelle non apprese al concorso, sicché anche l'incapacità processuale del fallito, come prevista dall'articolo 43 legge fallimentare non è priva di eccezioni.

È, ammesso, pertanto, che il fallito possa agire in giudizio anche riguardo a rapporti patrimoniali se non compresi, in linea di diritto o di fatto, nel fallimento. Infatti, la mancata attivazione del curatore nella tutela giudiziaria di quei rapporti ben può fondare la loro ritenuta indifferenza rispetto agli scopi della procedura concorsuale e, in definitiva, la loro sostanziale non apprensione alle ragioni della massa (in questo senso, cfr. Cassazione sezioni Unite n. 11287/2023).

Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il fallito conserva la capacità processuale in ordine alle situazioni giuridiche non comprese di fatto nella massa fallimentare (cfr. Cassazione n. 3094/1995).

Ecco che, allora, le sezioni unite della Corte di cassazione, nella sentenza citata poco sopra, hanno affermato il seguente principio di diritto: "in caso di rapporto d'imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l'atto impositivo lo può impugnare, ex art. 43 L. fall., in caso di astensione del curatore dalla impugnazione, rilevando a tal fine il comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia di questi, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l'abbiano determinato".

Quindi, l'insussistenza di uno stato di inerzia del curatore, in sintesi, comporta il difetto della capacità processuale del fallito in ordine all'impugnazione dell'atto impositivo e deve essere rilevata anche d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo.

Per i principi esposti dalla giurisprudenza di legittimità, nella sua composizione più autorevole, la Cassazione conclude – per quanto riguarda il caso di specie - che, nell'ipotesi in cui l'accertamento colpisca redditi generati dall'attività svolta dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento, sussiste la legittimazione di quest'ultimo, e non della curatela, ad impugnare l'atto impositivo.

Da Fisco Oggi