Odontoiatra senza titolo: i proventi sono tassabili

29.03.2023

Legittima la presunzione di maggiori ricavi/compensi derivanti sia dai versamenti che dai prelevamenti bancari ingiustificati per il contribuente che esercita senza titolo l'attività di odontoiatria.
Questo è quanto è stato stabilito dalla Cassazione con l'ordinanza 21960 del 12 luglio 2022, con cui il tribunale di piazza Cavour ha rigettato il ricorso di un contribuente.
La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
Col proprio ricorso il contribuente denunciava, tra l'altro, il fatto che la Ctr avesse dato piena applicazione all'articolo 32 del Dpr n. 600/1973 anche al contribuente che, sia pur abusivamente, esercitava la professione di dentista e dunque non titolare di reddito di impresa. A tal proposito invocava la sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014 che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 32 limitatamente ai prelevamenti dei professionisti.
La Cassazione ha rigettato il motivo di ricorso: infatti, secondo i giudici, non è configurabile un reddito professionale in assenza di titolo abilitativo idoneo all'esercizio della professione intellettuale o liberale regolamentata. Tale professione è quella il cui esercizio è regolato dalla legislazione nazionale, e la legge individua quale condizione per il suo esercizio nell'interesse dell'utenza sia il titolo di studio indispensabile sia i successivi requisiti di addestramento alla pratica della professione.
Pertanto, per Cassazione, l'attività svolta va qualificata come attività illecita e i proventi percepiti, che rientrano nelle categorie reddituali di cui all'articolo 6, comma 1, del Dpr n. 917/86, devono essere assoggettati a tassazione ex articolo14 della legge n. 357/93 (cfr. Cassazione n. 27357/2019).
Il reddito prodotto in assenza di tali requisiti non può essere considerato maturato nell'esercizio "di fatto" della professione regolamentata di odontoiatra, perché questa è specialmente disciplinata dal legislatore e il rispetto della disciplina normativa connota e informa la professione stessa a garanzia dell'articolo 32 della Costituzione e della prestazione medico-sanitaria nei confronti del cittadino. L'attività abusivamente svolta ricade nella generale e residuale nozione di "illecito civile, penale o amministrativo" e con riferimento ai proventi non sottoposti a sequestro trova applicazione la presunzione di ricavi, non solo riguardo ai "versamenti" ma anche ai "prelevamenti" non giustificati.
Legittimo quindi il recupero a tassazione anche degli importi prelevati che si presumono conseguiti nell'esercizio dell'attività illecita.
Questo il principio di diritto affermato dalla Cassazione: in tema di presunzione di imputazione a ricavi delle movimentazioni bancarie di cui all'articolo 32 del Dpr n. 600 del 1973 il contribuente che abbia esercitato attività di odontoiatra, professionalmente regolamentata dalla legge 24 luglio 1985, n. 409, abusivamente e senza possedere i titoli di cui all'articolo 1 della citata legge, ha svolto attività illecita ai fini dell'articolo 14 della Legge n.357/1993 percependo redditi rientranti nelle categorie reddituali di cui all'articolo 6, comma 1, del Dpr n.917 del 1986, cui si applica la presunzione di cui al citato articolo 32 sia quanto ai versamenti sia quanto ai prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari destinati all'esercizio di detta attività di impresa, ai fini della determinazione della base imponibile.
Ulteriori osservazioni.
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, è definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai compensi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale, che la citata disposizione poneva, spostandosi, quindi, sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi (cfr. Cassazione nn. 23592/2019, 19564/2018 e 16697/2016).
Le operazioni bancarie di versamento, invece, hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l'efficacia solo dimostrando che ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine (cfr. Cassazione n. 2432/2017). Con riferimento ai versamenti, in particolare, la presunzione legale posta dalla predetta disposizione a favore dell'Erario, tenuto conto della fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'articolo 2729 cc per le presunzioni semplici ed è superabile da prova contraria fornita dal contribuente (cfr. Cassazione n. 6237/2015 e n. 9078/2016), "il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica".
A tale ultimo proposito la Corte ricorda altresì che in tema di indagini finanziarie si determina un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (cfr. Cassazione nn. 24422/2018, 15857/2016).
Inoltre, quanto ai prelevamenti, devono essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi.
Infine, a fronte dell'analiticità nella deduzione del mezzo di prova o comunque delle allegazioni difensive da parte del contribuente deve corrispondere speculare analiticità da parte del giudice nell'esaminare quanto dedotto e documentato (cfr. Cassazione nn. 7371/2020, 30786/2018, 20668/2014). DA FISCO OGGI.