Norma che viene, norma che va. Ma a leggere bene, è tutto chiaro

13.06.2022

La repentina successione di norme nel tempo non giustifica l'inapplicabilità delle sanzioni amministrative poiché non determina un obiettivo stato d'incertezza normativa.
Lo ha stabilito la Cassazione, con l'ordinanza n. 5324 del 3 aprile.
I fatti
L'Agenzia delle Entrate ha recuperato il contributo previsto nella forma del credito d'imposta dall'articolo 8, legge 388/2000, utilizzato da una società siciliana il 13 novembre 2002. In entrambi i gradi di merito, la società è risultata vittoriosa. In particolare, la sezione catanese della Commissione tributaria siciliana ha confermato l'annullamento dell'avviso (notificato nel 2003) e ha rigettato l'appello dell'Agenzia, ritenendo che l'articolo 62 della legge 289/2002 aveva abrogato l'articolo 1 del Dl 253/2002 (secondo cui l'utilizzo del contributo era sospeso dal 13 novembre 2002).
Di conseguenza, a parere del Collegio, il legislatore, abrogando tale disposizione relativa alla non utilizabilità del credito d'imposta dal 13 novembre al 30 dicembre 2002, aveva stabilito che la sospensione sarebbe venuta meno, legittimando così quanti avessero diritto all'utilizzo del credito di imposta.
Non dello stesso avviso l'Agenzia delle Entrate, che ha proposto ricorso per cassazione, denunciando la manifesta violazione della legge 289/2002, atteso che l'articolo 95, comma 3, dispone l'entrata in vigore di tale legge finanziaria il 1° gennaio dell'anno successivo e, inoltre, che l'articolo 62 detta una specifica disciplina per gli effetti della sospensione degli utilizzi del contributo.
La Corte, dopo aver affermato che nella fattispecie sottoposta al suo esame si poteva ravvisare "... una normale successione di leggi, non infrequente nella decretazione d'urgenza e nella legislazione fiscale ...", ha ritenuto non sussistere "l'incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria".
Osservazioni
La Cassazione chiarisce il concetto di incertezza normativa sottolineandone la rilevanza, non soltanto sul piano interpretativo (quale risultato del procedimento tecnico volto a individuare l'ambito applicativo delle norme), ma anche sul piano delle conseguenze derivanti dalle violazioni tributarie, poiché, una volta provata e riscontrata l'incertezza, le sanzioni amministrative non possono trovare applicazione (come positivamente stabilito dagli articoli 8, comma 1 del Dlgs 546/1992, 10, comma 3 della legge 212/2000, e 6, comma 2 del Dlgs 472/1997).
Nel caso sottoposto al suo esame, relativo al credito di imposta previsto dalla legge 388/2000, la Corte ha delineato il quadro di riferimento per poter dimostrare che gli interventi normativi che si sono susseguiti nel 2002 non hanno generato alcuna incertezza.
In origine, il richiamato articolo 8 ha attribuito un credito di imposta (determinato in relazione ai nuovi investimenti eseguiti in ciascun periodo d'imposta, da indicarsi nella relativa dichiarazione dei redditi) ai titolari di reddito d'impresa che, negli anni di imposta dal 2000 al 2006, avessero effettuato nuovi investimenti nelle aree svantaggiate individuate dalla Commissione Ce.
Tuttavia, l'articolo 1 del Dl 253/2002 (non convertito), nel disporre il monitoraggio delle agevolazioni per gli investimenti nelle aree svantaggiate, ha previsto sia la sospensione dell'utilizzo del contributo dal 12 novembre 2002 (data di entrata in vigore dello stesso decreto ex articolo 4, con la successiva ripresa della fruizione dal 31 marzo 2003) sia l'obbligo, per i soggetti interessati, di comunicare all'Agenzia delle Entrate, nel termine del 31 gennaio 2003 e a pena di decadenza, i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzati.
Poi, al fine di assicurare una corretta applicazione delle disposizioni in materia di agevolazioni per gli investimenti nelle aree svantaggiate, nonché di favorire la prevenzione di comportamenti elusivi, l'articolo 62 della legge 289/2002:

  • ha confermato che i soggetti interessati sospendono l'effettuazione degli ulteriori utilizzi del contributo dalla data di entrata in vigore della stessa legge (1 gennaio 2003) e la riprendono dal 10 aprile 2003 (31 marzo 2003 nel Dl 253/2002)
  • ha prorogato al 28 febbraio 2003 il termine entro cui effettuare la comunicazione all'Agenzia
  • ha abrogato l'articolo 1 del Dl 253/2002, stabilendo che "... restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base delle predette disposizioni ..." (comma 7).


In particolare, si osserva che il decreto è stato abrogato dall'articolo 62, comma 7, della legge 289/2002, prima della scadenza dei termini per la conversione in legge, facendo salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici già sorti, e impedendo la protrazione dell'efficacia provvisoria delle predette disposizioni fino al termine naturale della mancata conversione in legge (Cassazione, sentenza 24251/2011).
E' evidente che, in base alla clausola di salvezza degli effetti prodottisi nel vigore del decreto legge non convertito, l'Amministrazione finanziaria ha legittimamente recuperato il credito di imposta utilizzato dal contribuente, nonostante la sospensione della fruizione disposta con il Dl 253/2002.
L'ufficio, infatti, ha puntualmente seguito la successione delle leggi nel tempo e ha sostenuto correttamente che tale fenomeno, non determinando alcuna incertezza normativa oggettiva, non ha costituito per la società contribuente causa di esenzione dalla responsabilità amministrativa tributaria (articoli 10 della legge 212/2000, 6 del Dlgs 472/1997, e 8 del Dlgs 546/1992).
Mancano, infatti, perché si abbia incertezza normativa oggettiva:

  • la condizione d'inevitabile incertezza sul contenuto, sull'oggetto e sui destinatari della norma tributaria
  • l'insicurezza ed equivocità del risultato conseguito dal contribuente attraverso il procedimento d'interpretazione normativa (Cassazione, sentenza 24670/2007)
  • la circostanza che la disciplina normativa si articola in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appare concettualmente difficoltoso per l'equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione. Anche in quest'ultima ipotesi grava comunque sul contribuente l'onere di allegare la ricorrenza degli elementi di confusione (Cassazione, sentenze 22890/2006 e 22252/2011).