La deforestazione in funzione dei consumi dei paesi sviluppati. Di Arturo Gulinelli
In genere si tende a ritenere che il contenimento degli impatti ambientali sia una questione che vada affrontata contenendo l'emissione degli inquinanti; questa visione ha certamente il pregio di attenzionare una delle fonti primarie della lotta al cambiamento climatico: le emissioni di gas clima alteranti. Ma non è solo così che si può vedere e approfondire la questione, assai complessa e variegata, del clima e dei suoi effetti sul globo.
In realtà riveste un'importanza rilevante anche il consumo di suolo associato alla deforestazione; ricordando che gli alberi sono uno strumento molte efficace per rallentare il cambiamento climatico. Gli alberi assorbono e immagazzinano l'anidride carbonica, il principale gas serra, sia nelle foglie e nei rami, come nelle radici. Contribuendo per questa via a ridurre la quantità di CO2 presente nell'atmosfera. Nelle città, poi, gli alberi come i parchi e le aree verdi hanno effetti positivi perché riducono il calore.
E non sono solo questi i benefici dovuti alla presenza degli alberi, perché tra le tante cose sappiamo che grazie alla funzione della fotosintesi contribuiscono al ciclo dell'acqua e alla creazione delle nuvole. Le nuvole aiutano a riflettere la luce solare contribuendo a raffreddare le temperature, dando un importante contributo al mantenimento dell'equilibrio termico del pianeta.
La deforestazione, quindi il consumo di suolo e il mancato assorbimento di anidride carbonica, diventa seppur in modo indiretto una possibile fonte di inquinamento o, meglio, una pratica che conduce al peggioramento del clima.
Fino a pochi anni fa mancavano studi internazionali qualificati in grado di analizzare il rapporto esistente tra la deforestazione e il commercio internazionale, soprattutto di prodotti legati agli allevamenti e all'agricoltura. Carne, frutta, verdura, derivanti dalle piantagioni e dagli allevamenti presenti sui suoli deforestati, beni che poi vengono venduti ed esportati.
Nel tempo gli studi hanno iniziato ad indagare la deforestazione e le sue cause e alcuni associano la perdita di foreste ad un fattore specifico (tra gli altri si veda il documento di N. Hosonuma et al. del 2012) come appunto l'espansione dei terreni coltivati e destinati a pascoli e piantagioni. Non mancano altre motivazioni che spingono la deforestazione come l'espansione delle infrastrutture, l'estrazione e produzione del legname, l'espansione urbana, l'estrazione mineraria.
Lo studio di Hosonuma cerca di classificare nelle diverse aree del mondo quali sono i fattori più importanti all'origine della deforestazione. L'agricoltura è certamente il principale motore della deforestazione, ma con differenze nella distribuzione geografica e differenze che nascono in funzione dell'importanza dell'agricoltura commerciale, che genera flussi di prodotti in esportazione, rispetto invece ai bisogni, molto inferiori, legati all'agricoltura di sussistenza.
L'agricoltura commerciale, ovvero una deforestazione attivata per avere maggiori aree verdi da coltivare e ricavare prodotti da vendere ed esportare, è la causa più importante in America Latina (68%), mentre in Africa e in Asia contribuisce a circa il 35% della deforestazione.
L'agricoltura locale e di sussistenza è distribuita abbastanza equamente tra i continenti (oscillandto tra il 27 e il 40%), il che ha senso poiché questo tipo di uso del suolo rimane diffuso in tutte le aree dei tropici e subtropici.
Nel complesso, l'agricoltura riflette circa l'80% della deforestazione mondiale, il che è in linea con le stime fornite da altri studi relativi agli anni '80 e '90 del secolo scorso. L'attività mineraria svolge un ruolo più importante in Africa e in Asia rispetto all'America Latina. L'espansione urbana è più significativa in Asia. E certamente in futuro vista la crescita della popolazione urbana nei tropici si potranno registrare ulteriori pressioni sulle foreste tropicali.
Tra gli altri driver l'estrazione e l'abbattimento del legname sono cause importanti circa il degrado delle foreste in particolare in America Latina e in Asia. La raccolta di legna da ardere e la produzione di carbone vegetale sono i principali fattori di deforestazione nel continente africano e hanno un'importanza da piccola a moderata in Asia e America Latina.
Gli incendi incontrollati sono più evidenti in America Latina. In termini di variazione assoluta della superficie forestale netta nel periodo 2000-2010, il fattore di gran lunga di maggior rilievo rimane comunque l'agricoltura commerciale, con la più grande area deforestata situata in America Latina. In Africa e Asia, l'agricoltura di sussistenza e quella commerciale contribuiscono più o meno in egual misura alla variazione della superficie forestale.
Anche il pascolo è un problema per la sopravvivenza delle foreste specie per il Brasile e l'Indonesia; i due paesi dominano in una classifica poco lusinghiera: la perdita di foreste tropicali nel periodo 2001–2014 (insieme rappresentano il 40% della perdita totale di foreste tropicali - Hansen et al., 2013).
Un altro studio interessante (Pendrill et al., 2019) cerca di collegare la deforestazione all'agricoltura e ai pascoli e soprattutto indaga sui flussi commerciali dei prodotti ottenuti sui terreni sottratti alle foreste. Il documento conduce a dati leggermente diversi da quelli prodotti da N. Hosonuma ma la sostanza del discorso non cambia in modo radicale. La deforestazione è spinta dall'agricoltura e dal pascolo.
I risultati dello studio di Pendrill mostrano che sono relativamente pochi i prodotti che innescano il "rischio forestale" (riduzione delle aree) e si limitano principalmente: alla carne bovina, alla soia, all'olio di palma. Questi prodotti da soli rappresentano il 70% della deforestazione (attribuibile all'espansione dei prodotti agricoli). Le stime sulla quantità di deforestazione incorporata nella produzione di questi prodotti riguarda prevalentemente la perdita di foreste in America Latina (Argentina, Bolivia, Brasile e Paraguay) e nel Sud-Est asiatico (Indonesia, Malesia e Papua Nuova Guinea) e concordano con i risultati di un precedente studio presentato da Henders et al.
La tendenza generale sembra essere la seguente: i paesi sviluppati cercano di mantenere intatte le proprie risorse forestali, mentre i paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli tropicali o sub-tropicali, deforestano per spingere la produzione e la vendita di prodotti agricoli e di carne bovina.
I guadagni netti di foreste nei paesi in transizione post-forestale, quelli più sviluppati che mantengono le risorse presenti o riforestano, è stato compensato dalle importazioni di materie prime e prodotti agricoli che hanno causato la deforestazione altrove. Insomma, i nostri consumi influenzano la deforestazione nel mondo e nei paesi più poveri.
Dott. Arturo Gulinelli