Le indennità corrisposta ai dipendenti di una cooperativa di trasporto che svolgono esternamente alla sede sociale, attività di consegna di pacchi, plichi, corrispondenza e colli in genere, compiendo spostamenti abituali e continui, non possono fruire dell'esenzione dalla tassazione prevista dall'articolo 51, comma 5 del Tuir. Lo ha chiarito la Corte di cassazione con la sentenza n. 26436/2022.
L'interessante vicenda fiscale portata all'attenzione della Suprema corte prende le mosse da un ricorso per cassazione, proposto da una società cooperativa, avverso la sentenza della Ctr Lombardia che aveva respinto l'appello del ricorrente nonché l'appello incidentale dell'ufficio, confermando la sentenza di primo grado in materia di indennità di trasferta, maggiori ritenute Irpef e addizionali regionali.
Il ricorso originario, dinanzi i giudici di legittimità, era affidato a due ordini di motivi:
- violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dell'art. 51, commi 5 e 6, DPR n. 917/86 e dell'art. 7-quinquies, DL n. 193/2016 convertito in L. n. 225/2016
- violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell'art. 2697, comma 1, c.c. in relazione all'art. 51, commi 5 e 6, DPR n. 917/86 e all'art. 7-quinquies, comma 1.
Nello specifico, la questione controversa nasceva dall'analisi dell'attività della cooperativa che si sostanziava nell'autotrasporto di merci conto terzi, ed in particolare nell'attività di trasporto e consegna di pacchi, plichi, corrispondenza e colli in genere. I dipendenti, pertanto, svolgevano normalmente attività esterna alla sede sociale, compiendo spostamenti abituali e continui, pur se ripetitivi dello stesso percorso.
La società corrispondeva mensilmente - ad alcuni lavoratori per tutte le giornate di lavoro, ad altri per gran parte delle giornate lavorate - somme non soggette ad imposizione né fiscale né previdenziale perché erogate sotto la voce "trasferta Italia" nel bilancio sociale sottoposto a controllo.
A parere dell'Ufficio accertatore, tali dipendenti dovevano considerarsi "trasferisti" poiché competeva loro una somma non correlata ad una specifica trasferta, ma contrattualmente attribuita per tutti i giorni retribuiti, a prescindere dalla circostanza che venisse effettivamente effettuata la trasferta stessa.
I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, hanno rigettato il ricorso di controparte partendo dalla constatazione che, in materia, è dovuto intervenire il legislatore con una norma di interpretazione autentica (quindi con efficacia retroattiva, come hanno chiarito le sezioni unite della Cassazione con sentenza n. 27093/2017) contenuta nell'articolo 7-quinquies, del Dl n.193/2016.
In base a tale ultimo intervento normativo, rientrano nella disciplina dei trasfertisti di cui all'articolo 51, comma 6, del Tuir - quindi con concorrenza alla formazione del reddito delle indennità erogate nella misura del 50% - i lavoratori per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni:
- nel contratto o nella lettera di assunzione non deve essere indicata una sede specifica di lavoro
- si deve trattare di un'attività lavorativa che richiede la continua trasferibilità del dipendente
- va corrisposta al dipendente in relazione allo svolgimento dell'attività lavorativa in luoghi sempre modificabili e diversi, un'indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa; che gli va riconosciuta a prescindere dal fatto che egli si rechi (o meno) in trasferta e dove la stessa si sia eventualmente svolta.
La Cassazione, alla luce dell'interpretazione autentica appena richiamata, ha inteso precisare che le tre condizioni sopra indicate debbano coesistere e, in mancanza anche di una soltanto di esse, al lavoratore va riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui all'articolo 51, comma 5, del Tuir - ovverosia esenzione delle indennità corrisposte alla formazione del reddito tassabile -.
Sulla base di tale impostazione ermeneutica, la Corte ha rigettato il ricorso nel merito richiamando, in primo luogo, la sentenza n. 14047/2020 con la quale è stato ribadito che "laddove la sede di assunzione costituisce un mero riferimento per la gestione burocratica del rapporto di lavoro ed il lavoratore viene normalmente chiamato a svolgere la propria attività in altro luogo, le somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di "indennità di trasferta" e di "rimborso chilometrico" non beneficiano del trattamento fiscale previsto dall'art. 51, co. 5 del TUIR".
Nel caso di specie, pertanto, i giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che le indennità corrisposte dalla cooperativa ricorrente ai lavoratori "trasfertisti" non potessero andare esenti da tassazione ai sensi dell'articolo 51 n. 5 Dpr n. 917/1986 ma concorressero a formare il reddito nella misura del 50% ai sensi dell'art. 51 n. 6 del citato Dpr, in ragione della continuità, della natura strutturale dell'attività esercitata dalla cooperativa stessa, dell'assenza in contratto di una clausola specifica atta a disciplinare la singola voce della retribuzione "a titolo di trasferta", dell'assenza di temporaneità e provvisorietà della trasferta stessa.
Alla luce delle argomentazioni appena svolte, la Cassazione, all'esito della disamina dell'impugnata sentenza di secondo grado, ha rilevato che, correttamente, il giudice di merito abbia svolto gli accertamenti di fatto secondo lo schema normativo ritenuto corretto anche dalla giurisprudenza di legittimità. DA FISCO OGGI.