Imprese zombie e riduzione della produttività

25.01.2022

DAL BLOG DEL DOTT. ARTURO GULINELLI. La sfida economica post pandemia non sarà certo l'inflazione, come molti erroneamente fanno credere, ma la gestione del debito pubblico e soprattutto di quello privato.

Con qualche approssimazione possiamo dire che l'inflazione attuale è in parte da domanda (aumento del debito pubblico per sostenere la crisi e ripartenza dei consumi post lockdown) e in parte da offerta (energia e strozzature nelle catene internazionali), ma non essendo sostenuta da un rialzo dei salari con buona probabilità è un fenomeno transitorio che si riassorbirà nei prossimi mesi.

L'unica cosa che potrebbe far aumentare il tasso di inflazione sono i venti di guerra in Europa dell'est.

La gestione del debito pubblico e privato esplosi a seguito della crisi economica innescata dalla diffusione della pandemia sarà il vero problema.

In particolare sarà complicato gestire il credito alle imprese ed evitare la zoombificazione delle aziende improduttive e prossime al fallimento (sarà opportuno salvaguardare l'occupazione con misure idonee, ma prolungare l'agonia delle imprese in difficoltà non aiuterà l'economia a ripartire).

Generalmente le imprese che per sopravvivere alla crisi si sono indebitate vedranno aumentare il costo del debito e diminuire la competitività nel medio termine.

Un interessante studio del 2020 rivisto ad ottobre 2021 indaga sul fenomeno delle imprese zombie e sulla loro produttività.

Lo studio - Corporate zombies: Anatomy and life cycle di Ryan Banerjee e Boris Hofmann, Revised in October 2021 published BIS Working Papers - si occupa di definire le imprese zombie e di verificarne le caratteristiche.

Le imprese zombie sono definite nell'articolo come imprese con un tasso di copertura degli interessi inferiore a 1 e una q di Tobin al di sotto dell'impresa mediana del settore. Per essere declassificata come azienda zombie, è richiesto un ICR (tasso di copertura degli interessi) maggiore di uno o una q di Tobin sopra la mediana del settore nei due anni precedenti.

Gli autori utilizzando i dati a livello di impresa sulle società non finanziarie quotate in 14 economie avanzate, documentano un aumento della quota di imprese zombie, definite come società non redditizie con una bassa valutazione di borsa; l'incremento di queste imprese ha fatto registrare un passaggio del loro numero dal 4% della fine degli anni '80, al 15% del 2017.

Queste aziende zombie sono più piccole, meno produttive, più indebitate, investono meno in capitale fisico e immateriale e per poter sopravvivere riducono la loro attività e l'occupazione. Le loro prestazioni si deteriorano diversi anni prima della zombieficazione e rimangono significativamente inferiori a quelle delle aziende non zombie negli anni successivi. Nel tempo, circa il 25% delle società di zombie è uscito dal mercato, mentre il 60% è uscito dallo stato di zombie. Tuttavia, le imprese zombie per così dire "recuperate" hanno prestazioni inferiori rispetto alle aziende normali e devono affrontare un'alta probabilità di ricadere nello stato di zombie.

Lo studio ricorda che il crescente numero di cosiddette imprese zombie, generalmente definite come imprese non redditizie ma che rimangono sul mercato invece di uscire per acquisizione o fallimento, ha attirato una crescente attenzione nel dibattito pubblico. La pandemia di Covid-19 ha dato ulteriore impulso a questo dibattito poiché la crisi mette a dura prova il settore delle imprese che i governi hanno cercato di proteggere attraverso misure di sostegno su larga scala.

La letteratura si è finora concentrata ampiamente sulle cause e le conseguenze dell'ascesa di queste imprese per studiare la produttività aggregata. In questo documento gli autori, mirano a colmare questa lacuna esplorando l'anatomia e il ciclo di vita delle aziende zombie, per capire le conseguenze sul settore industriale e sull'economia più in generale. Gli effetti economici dipendono dalle caratteristiche di queste imprese e dal loro peso economico ma anche dal loro destino, cioè se sono condannate al fallimento o se questo può essere evitato.

Come detto sopra lo studio utilizza i dati a livello di impresa che riguardano 14 economie avanzate e coprono tre decenni, identificando le società zombie sulla base:

(i) della loro persistente mancanza di redditività, ovvero profitti insufficienti per coprire i pagamenti degli interessi sul debito (rapporto di copertura degli interessi inferiore a uno);

(ii) dello scarso potenziale di crescita futuro atteso rivelato da valutazioni azionarie basse, ovvero un basso rapporto tra il valore di mercato degli asset aziendali e il loro valore contabile rispetto ad imprese concorrenti (= un valore della q di Tobin relativamente basso).

Per comprendere "l'anatomia" delle aziende zombie e analizzarne le caratteristiche e le prestazioni rispetto a quelle delle aziende non zombie sono state esaminare tra l'altro: le loro dimensioni, la spesa in conto capitale, gli investimenti immateriali, l'occupazione, la produttività, la redditività, la leva finanziaria, l'indebitamento e l'emissione di azioni. Per caratterizzare il ciclo di vita delle imprese zombie, gli economisti hanno analizzato l'evoluzione dei loro conti di bilancio in particolare: i profitti e i flussi di cassa negli anni precedenti e successivi alla loro prima classificazione come zombie. Lo studio valuta anche la probabilità di sopravvivenza delle aziende zombie e se questa è paragonabile a quella di imprese normali e per quanto tempo le aziende rimangono nello stato di zombie.

Alcune imprese, la maggioranza, recupera la normale continuità aziendale, tuttavia è necessario chiedersi e capire che probabilità hanno queste imprese di tornare allo stato di zombie e confrontare le loro prestazioni con quelle che non lo sono mai state.

Intanto, gli autori notano come il numero di imprese zombie sia cresciuto dai primi anni 2000 e sia aumentato ad ogni crisi (quella del 2008 e la crisi pandemica attuale), segno che queste imprese soffrono gli shock più delle altre.

I risultati principali della analisi del documento citato sono i seguenti:

- In primo luogo, il numero di imprese zombie è in media aumentato in modo significativo dagli anni '80 nelle 14 economie avanzate oggetto dell'analisi;

- il numero di imprese zombie è passato da circa il 4% di tutte le società quotate a metà degli anni '80 fino al 15% nel 2017;

- la quota di attività, capitale e debito delle società quotate diventate società zombie è inferiore, intorno al 6%- 7% rispetto ai competitor normali.

Queste stime, tuttavia, forse sottostimano il numero e il peso economico delle aziende zombie visto che la ricerca si è concentrata solo sulle società quotate.

Da un punto di vista geografico che imprese zombie sono notevolmente più elevate nei paesi anglosassoni, dove c'è una maggiore propensione alla quotazione in borsa.

Le imprese zombie sono normalmente più piccole, meno produttive e crescono meno in termini di asset e di tassi di occupazione, spendendo meno in capitale fisico e immateriale. Gli autori sostengono che le imprese zombie ricevono crediti "sovvenzionati" poiché l'interesse che pagano sul loro debito non è significativamente superiore a quello delle aziende normali e questo nonostante la loro minore redditività e il maggiore rischio associato a questi prestiti.

In terzo luogo, il ciclo di vita delle società zombie è caratterizzato da una serie di caratteristiche chiave. Negli anni prima di diventare zombie, le imprese sperimentano redditività, produttività, occupazione e investimenti modesti e in calo rispetto alle aziende non zombie. Il deterioramento delle prestazioni è più pronunciato nei due anni precedenti la zombificazione, il che in parte riflette meccanicamente il modo in cui vengono identificate le aziende zombie. Inizialmente, gli zombi rimangono a galla aumentando i prestiti e l'emissione di azioni, nonché aumentando le dismissioni di attività rispetto alle società concorrenti. Dopo la zombificazione, le loro prestazioni, sempre se riescono a rimanere operative, rimangono significativamente inferiori a quelle delle aziende non zombie. Un'azienda zombi deve affrontare una probabilità significativamente più alta di uscire dal mercato tramite fallimento o acquisizione rispetto alle aziende non zombie, questa probabilità è di circa 7 punti percentuali più elevata dopo circa cinque anni e rimane a quel livello anche negli anni successivi.

Un altro aspetto riguarda il numero totale di aziende zombie che dagli anni ottanta ad oggi è uscita dal mercato, questa quota è di circa il 25%. Invece, oltre il 60% delle imprese zombie è riuscito a recuperare la normalità, il che significa che a un certo punto non sono più state identificate come tali. Le aziende zombie "recuperate" rimangono però deboli e fragili e la loro produttività, la redditività, gli investimenti e la crescita dell'occupazione rimangono ben al di sotto dei limiti delle imprese normali. Questa circostanza fa si che queste imprese affrontano un'alta probabilità di ricadere nello stato di zombie entro pochi anni. Questa probabilità di ricaduta delle imprese zombie recuperate è più che triplicata negli ultimi dieci anni.

Dagli inizi degli anni duemila (forse anche a causa delle crisi finanziarie e delle politiche monetarie espansive Ndr) si è ampliato il divario di produttività tra le due tipologie di imprese. I bassi tassi di interesse, hanno contribuito in modo significativo all'aumento delle quote di imprese zombie in questi ultimi due decenni.

Diversi autori indicano nei bassi tassi di interesse persistenti il fattore chiave della zombificazione di molte imprese (Sharma (2019), Taylor (2019), Armstrong (2020)), poiché bassi tassi riducono gli oneri del servizio del debito e possono indurre le banche o i creditori più in generale a rinnovare prestiti alle imprese anche se non sono redditizie. Gli autori ricordano che Acharya et al. Nel 2019 hanno evidenziato che le banche dell'area dell'euro hanno utilizzato le plusvalenze sui loro asset obbligazionari, derivanti dal lancio del Outright Monetary Transactions (OMT) della BCE nel 2012, per aumentare l'offerta di credito principalmente alle imprese di bassa qualità con le quali avevano rapporti di prestito preesistenti.

Lo studio ricorda che le statistiche e i dati di bilancio delle imprese zombie evidenziano una serie di fatti chiave sulla loro anatomia. Le imprese zombie sono molto più piccole delle altre aziende normali, e gli asset, lo stock di capitale e l'occupazione di quest'ultime sono in media tre volte più grandi di quelli delle imprese zombie.

Tra le altre caratteristiche gli autori osservano che le aziende zombie sono meno dinamiche, poiché investono meno, infatti presentano: investimenti in capitale di circa 0,5 punti percentuali inferiori a quelli delle non-zombie e investimenti in capitale immateriale (ovvero ricerca e sviluppo R&S) e capitale umano) di circa 1,2 punti percentuali in meno. La loro dismissione delle attività (cioè il denaro raccolto attraverso la vendita di attività) è di circa 0,5 punti percentuali superiore a quella delle altre imprese. Allo stesso tempo, il numero di dipendenti nelle imprese zombie è diminuito in media di oltre il 6% all'anno, rispetto alla crescita dell'occupazione di oltre il 3% in altre imprese.

E in linea con altri studi si scopre che le imprese zombie sono meno produttive delle aziende non zombie. Sia la loro produttività del lavoro che la loro produttività totale dei fattori (TFP) sono rispettivamente circa la metà del livello di quello di altre società.

Altra letteratura suggerisce che un aumento della quota di imprese zombie in un'economia nella misura di un punto percentuale riduce la crescita della produttività aggregata di circa 0,1 punti percentuali nel lungo periodo.

Le imprese zombie sono inoltre caratterizzate da flussi di cassa negativi e da ICR peggiori (interest coverage ratio), nonché da un basso q di Tobin. Allo stesso modo, pagano dividendi inferiori, di oltre 1 punto percentuale del totale delle attività rispetto ad altre società, riflettendo la loro minore redditività. La mediana e i quartili della distribuzione rivelano che solo pochissime aziende zombie pagano dividendi.

Visto il panorama offerto dallo studio citato è chiaro che le scelte dei politici dei prossimi anni saranno di assoluto rilievo; aiutare il ricollocamento dei lavoratori (proteggendoli con strumenti e politiche attive serie) sarà fondamentale, allo stesso modo sarà importante valutare politiche di vigilanza micro e macro prudenziale delle banche centrali adeguate a gestire in modo corretto l'aumento del debito privato, soprattutto delle società non finanziarie.