Il greenwashing altera la competizione tra le imprese. Del Dott. Arturo Gulinelli
Negli ultimi anni le tematiche sociali e ambientali sono sempre più rilevanti per le imprese e la comunicazione, il bilancio di sostenibilità per intenderci, su questo argomento è attenzionato da tutti i portatori di interessi. A volte però le imprese comunicano di essere sostenibili ma non lo sono fino in fondo.
Il greenwashing riguarda proprio l'autenticità, per l'esattezza la non autenticità, delle dichiarazioni relative alle pratiche adottate e comunicate dalle imprese ai fini della sostenibilità.
Quest'anno la Commissione Europa ha deciso di adottare o meglio modificare una vecchia direttiva del 2005 per inquadrare le pratiche sleali in tema di comunicazione nell'ambito della transizione verde. Pubblicata il 6 marzo 2024, la direttiva è del 28 febbraio, la così detta "direttiva Greenwashing", cioè la direttiva 2024/825/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell'informazione. Come detto, la nuova direttiva modifica la 2005/29/Ce sulle pratiche commerciali sleali.
Già nelle premesse la Direttiva inquadra la questione ricordando che al fine di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, sulla base di un livello elevato di protezione dei consumatori e dell'ambiente, e di compiere progressi nella transizione verde, è essenziale che i consumatori possano prendere decisioni di acquisto informate e contribuire in tal modo a modelli di consumo più sostenibili.
E questo è strettamente collegato al fatto che gli operatori economici devono avere una attenta responsabilità nel fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili. Per questo motivo è opportuno introdurre nella normativa dell'Unione in materia di tutela dei consumatori norme specifiche volte a contrastare le pratiche commerciali sleali che ingannano i consumatori e impediscono loro di compiere scelte di consumo sostenibili, quali le pratiche associate all'obsolescenza precoce dei beni, le asserzioni ambientali ingannevoli («greenwashing»), le informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali dei prodotti o delle imprese degli operatori economici o i marchi di sostenibilità non trasparenti e non credibili.
Una maggiore garanzia che le asserzioni ambientali siano grazie alla Direttiva comprensibili e affidabili consentirà agli operatori economici di operare su un piano di parità e permetterà ai consumatori di scegliere prodotti che siano effettivamente migliori per l'ambiente rispetto ai prodotti concorrenti. Sarà così incoraggiata la concorrenza conducendo a prodotti più ecosostenibili, con conseguente riduzione dell'impatto negativo sull'ambiente.
Si comprende che il greenwashing comunicando in modo sleale la sostenibilità di prodotti e processi può ingannare i consumatori indirizzando il consumo verso imprese che non sono realmente attente e rispettose e impegnate in un'autentica transizione green.
La letteratura economica, del resto, si è espressa da tempo su questi temi. Ad esempio uno studio di qualche anno fa dal titolo "Green Brand of Companies and Greenwashing under Sustainable Development Goals" (di Tetyana Pimonenko, Yuriy Bilan, Jakub Horák, Liudmyla Starchenko, and Waldemar Gajda - Department of Marketing, Sumy State University 2020 – Ukraine) sostiene che l'attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) e l'aumento delle questioni ambientali provocano cambiamenti nel comportamento dei consumatori e delle parti interessate. Pertanto, sempre più persone cercano di investire in aziende e in progetti "verdi". I consumatori preferiscono acquistare prodotti ecologici invece di quelli tradizionali; e consumatori e investitori si rifiutano di trattare con aziende "verdi sleali".
L'aumento dei consumi di prodotti e beni "etici e verdi" porta ad aumentare la frequenza di utilizzo di politiche greenwashing come strumento di marketing scorretto per promuovere risultati ecologici dell'azienda non rispondenti al vero o per enfatizzarli esagerandone la valenza. Il comportamento di tali aziende porta a una diminuzione della fiducia negli investimenti realmente sostenibili attuati da altre aziende. Scopo dello studio citato è stato quello di verificare l'impatto del greenwashing sulla comunicazione e sulla credibilità delle iniziative "verdi" delle aziende. A tal fine è stata condotta un'analisi che ha avuto come base dati le informazioni raccolte dai siti Web delle società e dai rapporti finanziari e non finanziari pubblicati. Oggetto di studio sono state delle imprese industriali Ucraine che operavano non solo sul mercato locale ma anche in quello internazionale. I risultati hanno dimostrato che un aumento di un punto del greenwashing porta a un calo di 0,56 punti del valore di fiducia sulla riconoscibilità dell'azienda come impresa sostenibile. La variabile più significativa che ha influenzato il greenwashing ha riguardato le informazioni raccolte dai siti Web ufficiali che mascherano i reali obiettivi economici dell'azienda. Una raccomandazione per le aziende è quella di eliminare il greenwashing attraverso la pubblicazione di rapporti ufficiali dettagliati sulla politica e sui risultati ecologici avendo cura di evitare di enfatizzare risultati e politiche verdi rispetto alle azioni realmente attuate, soprattutto quando il fine è quello di aumentare solamente le vendite.
Insomma, il greenwashing non è la strada giusta per migliorare le proprie vendite o le performance; le false informazioni spesso vengono smascherate. Le imprese che invece hanno un modello di produzione e organizzazione che risponde a veri criteri ESG devono evitare di enfatizzare le notizie "green" e fare una comunicazione trasparente e seria e bene ha fatto la Commissione Europea ad emanare la direttiva commentata.
Dott. Arturo Gulinelli