Il salario minimo e la riduzione della povertà lavorativa
Generalmente il dibattito sul salario minimo è attraversato da posizioni ideologiche, da un lato e dall'altro della "barricata".
Gli economisti che sono contrari al salario minimo tendono a sostenere che una misura simile presenta pochi vantaggi in termini di crescita del prodotto interno lordo e che potrebbe addirittura avere effetti contrari. Il ragionamento alla base di queste affermazioni è che l'incremento del salario minimo, per legge o per norme contrattuali nazionali, avrebbe l'effetto di far incrementare i prezzi, quindi l'inflazione, e che questa crescita ridurrebbe il potere di acquisto delle fasce più povere comprimendo gli acquisti per consumi con effetti depressivi sull'economia. L'aumento dei tassi di interesse, inoltre, avviato per combattere la crescita dei prezzi ridurrebbe gli investimenti e quindi l'occupazione; questo in uno scenario di breve periodo. Nel medio e lungo periodo l'aumento dei salari potrebbe innescare processi di crescita della produttività ma nessuno si spinge a pensare al lungo periodo, visto che la tecnologia cambia in continuazione e che sovente non è valutata nei modelli di crescita.
Le teorie a favore dell'introduzione del salario minimo sostengono, al contrario, che l'incremento dei salari genera un aumento del potere di acquisto e quindi dei consumi con effetti di breve periodo modesti in termini di inflazione e che una misura simile può migliorare i conti pubblici attraverso l'incremento di imposte e contributi, spingendo le imprese ad accelerare i processi di innovazione che incrementano l'uso di capitale fisico e ingegneristico con ricadute in termini di produttività. L'incremento della produttività può contenere i prezzi di vendita, e quindi disinnescare la crescita dei prezzi, permettendo alle imprese di mantenere invariati i profitti e assorbire l'aumento dei salari.
Alcuni studi, per fortuna, hanno provato ad approfondire la questione cercando di offrire risultati più attendibili e mettendo in luce in particolare gli effetti dell'incremento dei salari minimi sul reddito, sull'occupazione e sulla povertà lavorativa. Uno di questi è stato sviluppato dal Joint Research Center della Commissione Europea, si tratta del documento: Social and fiscal impacts of statutory minimum wages in EU countries: A microsimulation analysis with EUROMOD (di Klaus Grünberger, Edlira Narazani, Stefano Filauro and Áron Kiss - del giugno 2021).
Il documento analizza gli effetti e gli impatti dell'ipotetico aumento del salario minimo su alcuni risultati economici e sociali, analizzando 21 paesi dell'UE con un salario minimo nazionale legale, e basando le stime su un approccio di microsimulazione utilizzando il modello EUROMOD (modello di valutazione che consente un'analisi comparabile di tutti gli Stati membri dell'UE). Gli autori spiegano che il modello EUROMOD consente una valutazione degli effetti distributivi sulla disuguaglianza e sulla povertà lavorativa di riforme, reali o ipotetiche, valutandone le ricadute in modo comparativo tra i paesi dell'UE, considerando l'intera serie di interazioni che opera all'interno del sistema di trasferimento fiscale di ciascun paese.
L'analisi condotta in microsimulazione offre il vantaggio di tenere conto del ruolo delle tasse e dei benefici nella valutazione degli impatti di un possibile aumento del salario minimo. Questo è importante perché, quando i salari dei lavoratori aumentano grazie all'introduzione del salario minimo, è probabile che aumentano anche le loro passività fiscali (per tasse e contributi) e che i benefici a cui hanno diritto si possano ridurre. La direzione dell'effetto delle maggiori tasse e dei benefici netti è intuitiva dato che certamente l'incremento netto del salario è comunque positivo; ma non sarebbe possibile misurarne l'entità senza utilizzare modelli di microsimulazione. La microsimulazione è adatta anche per stimare in modo completo gli impatti sui bilanci pubblici dell'aumento del salario minimo.
Da un punto di vista del metodo il paper ha due punti di forza rispetto ad analoghi studi condotti in passato e sono: l'uso di metodi di microsimulazione; e l'inclusione di tutti i lavoratori, indipendentemente dalle interruzioni nella loro storia lavorativa (studi recenti limitavano l'analisi ai lavoratori che avevano svolto più volte lo stesso lavoro part-time o full-time nell'anno precedente). Il metodo che è stato usato include invece i lavoratori con storie occupazionali instabili, utilizzando la metodologia proposta da Brandolini et al. (2010), attraverso cui imputare e computare l'orario di lavoro nei casi in cui questa informazione è mancante.
Il paper esamina un insieme ampio di scenari valutando i diversi impatti. Gli scenari messi in campo includono aumenti dei salari minimi legali al 40%, 45% e 50% del salario medio e al 50%, 55% e 60% del salario mediano.
L'analisi non si ferma alla verifica dell'incremento del reddito della quota di lavoratori interessati dagli aumenti, ma valuta anche:
- l'aumento della massa salariale aggregata;
- la riduzione della disparità salariale;
- gli effetti in tema di povertà lavorativa;
- gli effetti sul divario retributivo di genere;
- gli impatti sui bilanci pubblici.
L'analisi mette in luce che l'aumento del salario minimo legale se attuato adeguandosi al più basso dei valori di riferimento (quindi al 50% del salario mediano o al 40% della media) riguarderebbe solo un terzo dei 21 Stati membri con un salario minimo legale, mentre collocandosi al più alto dei valori di riferimento (cioè al 60% del salario mediano o al 50% della media) riguarderebbero quasi tutti gli Stati membri.
In funzione di ciò lo studio mostra come gli aumenti salariali risultino rilevanti per i beneficiari che li percepiscono raggiungendo percentuali di incremento del 20%, mentre gli aumenti impliciti sulla massa salariale aggregata non superano il 2%, anche negli scenari che si conformano ai valori di riferimento più elevati. Importante è la valutazione che spiega come vi sia un impatto positivo sui bilanci pubblici, in funzione delle maggiori entrate che si registrano in termini di imposte sul reddito delle persone fisiche e di contributi previdenziali.
Le conclusioni sono molto interessanti: "le simulazioni suggeriscono che gli aumenti del salario minimo possono ridurre significativamente la povertà lavorativa, la disparità salariale e il divario retributivo di genere. Negli scenari ipotetici con i valori di riferimento più elevati, la riduzione media della povertà lavorativa in tutti gli Stati membri dell'UE è del 12-13%, la riduzione media della disparità salariale è dell'8-10%, mentre la riduzione media del divario retributivo di genere è del 5%".
Come detto in precedenza alcuni economisti ritengono che gli aumenti del salario minimo possono avere conseguenze negative in tema di occupazione.
Lo studio in esame suggerisce che gli effetti negativi sull'occupazione, attribuibili agli aumenti del salario minimo, sono modesti soprattutto se posti in raffronto ai benefici che derivano dall'aumento dei salari per i lavoratori a basso reddito (riduzione della disuguaglianza) e per la riduzione della povertà lavorativa. Nell'ipotetico scenario in cui tutti gli Stati membri con salari minimi legali decidessero di aumentarli ai valori di riferimento più elevati, la riduzione simulata dell'occupazione totale nell'UE sarebbe solamente dello 0,4%.
Occorre tenere presente che il salario minimo generalmente migliora gli incentivi al lavoro, anche se l'impatto finale sull'occupazione può dipendere anche da altre condizioni.
Insomma, le conclusioni a cui giunge il documento esaminato sono confortanti e sconfessano alcune opinioni e molti commenti che non sono suffragati da idonea evidenza empirica.
DOTT. ARTURO GULINELLI