Evitare la zoombificazione delle imprese e la conseguente stagnazione economica?
DAL BLOG ARTURO GULINELLI. La storia spesso ci insegna e ci lascia delle importanti lezioni, e anche la storia economica non fa difetto a questa regola basilare. Quello che è accaduto negli anni '90 in Giappone non deve essere dimenticato e va analizzato attentamente dai nostri regolatori. La scelta tra salvare un'impresa o lasciarla fallire non può essere discusso solo da un punto di vista economico, perché le imprese hanno relazioni con il territorio, danno lavoro alle persone e quindi producono molte utilità indirette ed essenziali.
In astratto è facile rispondere alla domanda se far fallire o meno un'impresa, soprattutto se questa garantisce occupazione. Da un punto di vista sociale è meglio cercare di farla sopravvivere.
La crisi economica innescata dalla diffusione del coronavirus è stata estremamente seria in quasi tutto il mondo; all'iniziale crisi dell'offerta si è aggiunta una crisi di domanda. L'economia mondiale sta ripartendo e le iniziative economiche messe in atto dalle banche centrali e dai governi hanno evitato che la crisi economica divampasse come purtroppo è accaduto, ed in particolare in Europa, negli anni successivi al grande depressione del 2009.
In tema di trade off tra una prolungata gestione della crisi di imprese a scapito invece di più veloci processi di ristrutturazione (e non solo a livello aziendale), è importante leggere un paper, famoso e di notevole interesse, che è stato pubblicato nel 2008 sulla American Economic Review dal titolo: Zombie Lending and Depressed Restructuring in Japan scritto da Ricardo J. Caballero, Takeo Hoshi, and Anil K. Kashyap e che si è occupato di valutare l'impatto dei prestiti che in Giappone sono stati fatti ad imprese colpite da fenomeni di profonda crisi aziendale.
In particolare l'articolo, come ricordano gli autori stessi nei primi paragrafi, esplora il ruolo svolto dal prestito bancario mal indirizzato nel prolungare la stagnazione macroeconomica giapponese iniziata nei primi anni '90. L'indagine degli economisti si è concentra sulla pratica diffusa delle banche giapponesi di continuare a concedere prestiti a imprese altrimenti insolventi, viene documentata la prevalenza di questa concessione di prestiti e vengono evidenziati gli effetti distorsivi sulle imprese sane che erano in concorrenza con le imprese deteriorate. Uno dei primi autori ad evidenziare il problema era stato Takeo Hoshi con un documento del 2000 in cui si era provato a richiamare l'attenzione su questo fenomeno. C'è accordo sul fatto che l'innesco sia stato il forte calo dei prezzi delle azioni e dei terreni iniziato all'inizio degli anni '90: i prezzi delle azioni hanno perso circa il 60 percento del loro valore dal picco del 1989 entro tre anni, mentre i prezzi dei terreni commerciali sono diminuiti di circa il 50 percento dopo il loro 1992 picco nei successivi dieci anni. Questi shock hanno alterato i valori delle garanzie e qualsiasi sistema bancario avrebbe avuto enormi problemi ad adeguarsi a tale mutato contesto. Ma in Giappone la risposta politica e normativa è stata quella di negare l'esistenza di problemi e ritardare qualsiasi seria riforma o ristrutturazione delle banche. Queste pratiche hanno avuto forti implicazioni finendo con la soppressione del normale processo competitivo; per evitare che le imprese zombi perdessero lavoratori e quote di mercato si è creata una cattiva gestione economica che ha portato a ridurre i profitti delle aziende sane, scoraggiate a crescere ed espandersi a causa di distorsioni dal lato dell'offerta e della concorrenza..
In sostanza gli autori ritengono che le imprese possono essere classificate come zombie sulla base del fatto che sono state affidate e hanno avuto dei finanziamenti in assenza di validi motivi e screening che tenessero conto della redditività prospettica e soprattutto della possibilità concreta di risanarsi.
Gli autori ricordano che fatta eccezione per un paio di periodi di crisi in cui i regolatori sono stati costretti a riconoscere alcune insolvenze e nazionalizzare temporaneamente le banche incriminate, gli istituti di credito sono stati sorprendentemente liberi da regolamenti stringenti se non quelli internazionali che in caso di prestiti concessi ad imprese sofferenti hanno portato un assorbimento di capitale, riducendo le soglie di capitale minimo di molte banche. Contrariamente ad ogni logica di ristrutturazione di tali esposizioni la paura di scendere al di sotto degli standard patrimoniali ha portato molte banche a continuare a concedere credito ai mutuatari insolventi, scommettendo che in qualche modo queste imprese si sarebbero riprese o che il governo le avrebbe salvate. Non riuscire a rinnovare i prestiti avrebbe anche suscitato critiche pubbliche sulla base del fatto che le banche stessero peggiorando la recessione negando credito alle società bisognose, mentre in realtà deterioravano i propri bilanci e distorcevano la concorrenza. In effetti, il governo ha anche incoraggiato le banche ad aumentare i prestiti alle piccole e medie imprese per alleviare l'apparente "crisi creditizia", soprattutto dopo il 1998. Il finanziamento continuo, o "sempreverde", secondo gli autori può quindi essere visto come una risposta razionale da parte delle banche a queste giuste pressioni economiche e sociali.
Gli autori confermano con la loro ricerca che le industrie dominate da imprese zombi mostrano una creazione e distruzione di posti di lavoro più ridotta e anche una minore produttività. A livello aziendale i dati mostrano che l'aumento delle imprese zombi ha depresso la crescita degli investimenti e dell'occupazione delle imprese non zombi e ha ampliato il divario di produttività tra zombi e non zombi
Il modello economico di ricerca elaborato dagli autori è distinto dai modelli di analisi tradizionali che esaminano le ipotesi di stretta creditizia. Nel loro modello, una stretta creditizia agisce come uno shock di profitto ma in forma ridotta. Pertanto, nel caso Giapponese, secondo il modello usato, se si fosse verificata solo una pura contrazione della disponibilità di credito, si sarebbe verificata una risposta dall'economia del paese che avrebbe creato una riduzione dell'attività economica diffusa in modo generale nel paese e nei settori industriali. Invece, i dati mostrano che le contrazioni riguardano maggiormente i settori con più imprese zombi, suggerendo che insieme alla contrazione di credito agiscono altre forze come la distorsione competitiva che rallenta il processo di crescita e sviluppo delle imprese sane, trasmettendosi all'intera economia con effetti peggiorativi.
Gli autori ammettono che, sebbene il loro modello non ha offerto una completa analisi strutturale della regolamentazione governativa ottimale per valutare se i costi in termini di perdita di produttività fossero controbilanciati dai benefici in termini di riduzione della disoccupazione, ma concludono che i regolatori giapponesi potrebbero non aver riconosciuto gli elevati costi generati sull'economia del paese dall'aver permesso alle imprese zombi di continuare a operare durante quel periodo. Ad esempio, i conferimenti di capitale concessi alle banche giapponesi alla fine degli anni '90 non hanno ricapitalizzato le banche a sufficienza in modo che non fossero più incentivate a conceder prestiti "evergreen". I benefici persi che sarebbero maturati se il Giappone fosse tornato ad avere un'economia normalmente funzionante avrebbero potuto essere abbastanza grandi da giustificare un pacchetto di politiche di transizione molto generose per i lavoratori disoccupati delle imprese zombi lasciate fallire.
Non è facile decidere. Ma il nostro governo si dovrà prima o poi porre la questione e decidere su quale sia la scelta migliore. Avendo sempre a mente la indispensabile tutela dei lavoratori.