La Cassazione, con la pronuncia n. 17723 dello scorso 31 maggio, ha circoscritto la possibilità di annullare l'atto impositivo definitivo alle ipotesi in cui il contribuente illustri le ragioni di interesse generale che militano in tal senso. La suprema Corte ritiene, infatti, che debba essere tutelata la definitività del giudicato.
Nei precedenti due gradi di giudizio il contribuente era comunque risultato soccombente.
Il provvedimento di diniego che ha escluso il rimborso era, inoltre, motivato dal fatto che il rapporto tributario doveva ritenersi esaurito sulla base di tre diverse sentenze passate in giudicato e favorevoli all'Agenzia delle entrate.
I giudici della Corte di cassazione, nel ribadire l'esito dei primi due gradi di giudizio, hanno cosi motivato la pronuncia.
In particolare, hanno ribadito che, in tema di accertamento tributario, l'effetto preclusivo all'annullamento di ufficio dell'atto impositivo, derivante dall'articolo 2 del Dm n. 37/1997, per i motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'amministrazione finanziaria include quelli dedotti, deducibili o rimasti assorbiti, in relazione al medesimo oggetto e, pertanto, non solo le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche tutte le questioni proponibili in via di azione o eccezione che, per quanto non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia. Cosi che l'atto impositivo, la cui legittimità sia stata accertata con sentenza su cui si sia formato il giudicato, sia formale che sostanziale, non può essere suscettibile di annullamento in autotutela da parte dell'ufficio.
Al riguardo, la Corte chiarisce che l'emissione del provvedimento di annullamento in autotutela dell'atto impositivo diventato definitivo è atto discrezionale dell'amministrazione finanziaria e che nell'ambito del processo tributario il sindacato sull'atto di diniego a procedere all'annullamento del provvedimento impositivo in autotutela può riguardare solo la eventuale sussistenza di profili di illegittimità del predetto rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere che si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali, non costituendo strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente.
Pertanto, il sindacato del giudice tributario sul provvedimento avente a oggetto il diniego dell'annullamento dell'atto tributario diventato definitivo, è ammesso esclusivamente laddove si accerti la ricorrenza di ragioni di interesse generale alla rimozione dell'atto.
Non può, quindi, essere accolta l'impugnazione dell'atto di diniego proposta dal contribuente che contesti vizi dell'atto impositivo che avrebbe dovuto fare valere per tutelare i propri interessi in sede di impugnazione dell'atto, in modo da impedirne la definitività.
In linea generale, sempre che non risulti una comprovata deduzione contraria da parte del contribuente che invochi l'autotutela, corrisponde all'interesse generale la tutela della definitività del giudicato che trova fondamento nel principio di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici che intercorrono tra i consociati e tra questi e l'amministrazione finanziaria.
Inoltre, a mente dell'articolo 2, comma 2 del Dm n. 37/1997 "non si procede all'annullamento d'ufficio o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria".
Nella controversia all'esame della Corte, pur lamentando una pretesa illegittimità del diniego di rimborso, il contribuente non ha illustrato le ragioni di interesse generale che avrebbero dovuto giustificare l'adozione del provvedimento richiesto e che condizionano in radice l'accoglibilità della impugnazione del diniego.
La Cassazione anzi osserva che il contribuente, non solo ha omesso di allegare e comprovare l'esistenza di un interesse pubblico al rimborso dell'imposta, ma ha altresì dedotto argomenti avulsi dall'interesse pubblico.
Il ricorrente si è limitato infatti ad affermare che l'imposta chiesta in restituzione sarebbe stata riscossa su una base imponibile illegittima, ciò non avendo a che fare con l'interesse pubblico al rimborso, integrando invece la messa in discussione di un rapporto giuridico tributario e di un titolo di esazione ormai coperti da tre sentenze passate in giudicato.
Il giudicato tra l'altro estende i propri limiti oggettivi sia a quanto dedotto che a quanto deducibile.
Pertanto, in questo caso risulta ostativo al rimborso anche avendo riguardo a quei motivi di opposizione (tra i quali la congruità del minor valore dell'asse ereditario) che attenendo al merito della controversia, rientravano nel deducibile. da fisco oggi.