Se il credito di imposta per la ricerca scientifica deve essere indicato "a pena di decadenza" nello specifico quadro della dichiarazione dei redditi, l'eventuale omissione comporta irrimediabilmente la perdita del beneficio, non potendo intervenire né un'istanza di rimborso né una dichiarazione integrativa poiché si è in presenza di una dichiarazione negoziale rispetto alla quale non può trovare applicazione il principio generale dell'emendabilità. Lo ha chiarito la Cassazione con l'ordinanza 30172 del 15 dicembre scorso.I fatti
Una Spa ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia ne aveva rigettato l'appello, ritenendo legittimo il diniego di rimborso (chiesto con istanza del 13 giugno 2006) della maggiore Irpeg versata per l'anno 2001 in relazione al contributo ricevuto a titolo di incentivo per la ricerca scientifica (articolo 5, legge 449/1997): importo che la contribuente, per "mera dimenticanza", non aveva indicato tra le variazioni in diminuzione del reddito imponibile nella dichiarazione presentata per quell'anno, ma che aveva indicato, invece, nella dichiarazione integrativa presentata ex articolo 2, comma 8, Dpr 322/1998, in data 14 settembre 2004.In particolare la società ha lamentato (anche) violazione e falsa applicazione dell'articolo 4, comma 4, legge 449/1997, per avere la Ctr negato il diritto al rimborso in base al triplice rilievo per cui:
- si trattava di agevolazione e non di contributo e il credito non era rimborsabile
- il credito andava indicato a pena di decadenza nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta per il quale era stato concesso, ex articolo 6, comma 1, Dm 275/1998
- l'errato inserimento del credito d'imposta (all'interno della tardiva dichiarazione correttiva) tra le variazioni in diminuzione del quadro RU costituiva modalità per aggirare il divieto di rimborsabilità del credito.
La Corte ha rigettato il ricorso e ha affermato che "... l'indicazione che si richiede al contribuente ai fini della concessione del credito d'imposta non è strutturalmente parificabile ad una dichiarazione di scienza attraverso cui far valere un credito scaturente dal fisiologico susseguirsi delle ordinarie poste fiscali riportate nelle dichiarazioni, ma integra un atto negoziale in quanto diretto a manifestare la volontà di avvalersi del beneficio fiscale in ragione dell'affermazione (che in sé sottende anche un impegno) della rispondenza dell'attività svolta alle finalità perseguite dal legislatore ..." (Cassazione, 30172/2017).L'ordinanza
I giudici di legittimità hanno delineato il trattamento fiscale previsto in materia di credito di imposta per la ricerca scientifica.
A tale riguardo, hanno osservato che:
- l'articolo 5, legge 449/1997, al fine di potenziare l'attività di ricerca, ha accordato alle piccole e medie imprese un credito d'imposta, a partire dal periodo in corso al 1° gennaio 1998, alle condizioni fissate dall'articolo1, lettere a e b, con la conseguenza che il credito fiscale de quo non deriva dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo, ma da un beneficio appositamente accordato a seguito di precise scelte politiche, finalizzate a incentivare il settore della ricerca scientifica
- il compito di stabilire le modalità attuative, di controllo e regolazione contabile di tali crediti è stato dettato (per il rinvio nell'articolo 5, comma 7, legge 449/1997) dall'articolo 6, Dm 275/1998, secondo il quale tale credito non è autonomamente rimborsabile e rileva solo ai fini della compensazione con i debiti tributari (comma 3)
- l'indicazione del credito nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta nel corso del quale è concesso è prevista a pena di decadenza, nel senso che l'omissione ne impedisce il riconoscimento in diminuzione dell'imposta dovuta (Cassaszione, 6417/2016 e 27302/2016). Ciò in quanto l'adempimento degli obblighi dichiarativi è strumentale all'espletamento delle successive verifiche da parte dell'amministrazione finanziaria per il relativo periodo d'imposta (Cassazione, 10239/2017) e la decadenza prevista a carico del contribuente è coerente con la scelta di accordare il beneficio in rapporto all'esercizio fiscale interessato (Cassazione, 883/2016), stabilendo, il legislatore, entro un tempo determinato, anche il relativo onere finanziario, altrimenti suscettibile di rimanere sospeso a tempo indefinito (Cassazione, 19868/2012 e 22673/2014).
Dal quadro normativo di riferimento deriva, quindi, che il contribuente decade dalla possibilità di fruire del beneficio se non lo indica nella dichiarazione relativa al periodo di imposta nel quale gli è stato concesso. Trattandosi di decadenza contemplata dalla disciplina speciale dell'istituto e tenuto conto della sua ratio, la Corte ha escluso l'applicabilità del principio di emendabilità delle dichiarazioni se a tale emenda si procede sia attraverso dichiarazione integrativa (ex articolo2, Dpr 322/1998) sia per mezzo di istanza di rimborso (ex art. 38, Dpr 602/1973).
Ciò in quanto, anche se le denunce dei redditi costituiscono dichiarazioni di scienza e possono, quindi, essere modificate e rettificate in presenza di errori che espongono il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, tuttavia, quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale a una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un apposito modulo predisposto dall'erario, la dichiarazione assume, per questa parte, il valore di un atto negoziale (e non di scienza), come tale irretrattabile per il sopravvenire di decadenze (appunto quella dell'articolo 6, Dm 275/1998), anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che fosse conosciuto o conoscibile dall'amministrazione (Cassazione, 7294/2012 e 1427/2013).Sia il principio di emendabilità delle dichiarazioni dei redditi, (Cassazione, Sezioni unite, 15063/2002) sia la specificazione che ne fanno le Sezioni unite (sentenza 13378/2016), "muovono dalla considerazione della (e si riferiscono esclusivamente alla) dichiarazione dei redditi come 'atto non negoziale e non dispositivo, recante una mera esternazione di scienza e di giudizio'" e non sono, quindi, "invocabili nel diverso campo delle dichiarazioni aventi contenuto e valore negoziale". Non lo sono, pertanto, per la dichiarazione del credito d'imposta nel quadro RU, da considerarsi atto negoziale non emendabile in ipotesi di omissione, poiché si tratta di indicazioni volte a mutare (con rettifica in aumento) la base imponibile e perciò non idonee a costituire oggetto di un mero errore formale (Cassazione, 5852/2012 e 22193/2016).Non vi è dubbio, inoltre, che la società contribuente, per far valere l'errore commesso, sarebbe stata onerata, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà, ex articolo 1427 e successivi del codice civile, di fornire la prova della rilevanza dell'errore con riguardo ai requisiti della essenzialità e della obiettiva riconoscibilità (Cassazione, 7294/2012 e 22193/2016).
Né a conclusioni diverse può pervenirsi se si considera la possibilità di rimediare all'errore attraverso istanza di rimborso. La Corte, infatti, ha concluso che tale istanza è da escludere in radice per l'impossibilità di procedere a emenda, di qualsiasi tipo, di una dichiarazione negoziale, se non nei limiti ristretti della rilevanza dell'errore negli atti negoziali.Il predetto orientamento non è nuovo in sede di legittimità, avendo la Cassazione già affermato (pronuncia 21242/2017) che non è emendabile la dichiarazione dei redditi in cui sia stata omessa l'indicazione del credito d'imposta su dividendi, poiché il contribuente è incorso nella decadenza prevista dall'articolo 14, comma 5, del Tuir (nel testo vigente ratione temporis ante 2003). da fisco oggi.