
Crescita economica e tariffe all’importazione: alcune evidenze empiriche. Di Arturo Gulinelli
Può essere utile iniziare con qualche definizione: i dazi sono dei tributi che colpiscono le transazioni per acquisti a fronte di importazioni di beni da paesi esteri; il loro scopo è quello di regolamentare il commercio estero con una politica economica che tassa i prodotti stranieri, quelli importati, al fine di proteggere l'industria nazionale. Con provvedimenti di questo tipo si prova a garantire il mantenimento del livello produttivo e di ridurre il deficit con l'estero. Le politiche che Trump ha annunciato in campagna elettorale e poi al suo insediamento in tema di commercio internazionale e di applicazione di nuove tariffe ai beni importati potrebbero non essere efficaci, vediamo il perché.
In genere i politici pensano, spesso erroneamente, e lo fanno in accordo con quanto prevede la teoria economica sul commercio internazionale, che un paese che gode di un certo potere politico e di monopolio possa avere vantaggio dalla pratica di imporre dazi in fase di importazione, applicandoli ai beni che finiscono nelle preferenze dei consumatori; questo perché si pensa che applicando i dazi alle importazioni il paese possa spostare la domanda interna dai prodotti esteri a quelli di produzione nazionale, migliorando i termini di scambio.
Questa convinzione non tiene conto, tuttavia, di almeno tre fattori:
- non sempre i beni prodotti all'interno costano di meno e vengono immessi sul mercato da imprese efficienti e capaci di soddisfare la domanda interna;
- l'aumento dei prezzi registrato dall'inefficiente allocazione della produzione interna può far crescere i prezzi interni e portare a fenomeni inflattivi;
- i dazi applicati ai beni intermedi aumentano i prezzi delle produzioni interne che utilizzano questi beni e l'aumento dei prezzi si diffonde ad altri settori industriali e alla fine si scarica sui consumatori.
In sostanza, applicare i dazi ad un settore può avviare una serie di aggiustamenti dei prezzi alla produzione di un settore e poi propagare tali aumenti ad altri settori. Se aumentano i costi degli input dei beni colpiti dai dazi, i primi ad essere danneggiati saranno i clienti delle imprese interne che si è cercato di proteggere, ma anche le imprese che compreranno i beni prodotti dalle imprese del primo settore registreranno degli aumenti e così via anche altre imprese e altri settori. Tutto cambia in funzione della rilevanza del settore protetto e dell'elasticità di sostituzione che si può creare tra i prodotti importati e quelli interni. Se i dazi si applicano a più settori contemporaneamente i vari input colpiti potrebbero creare un effetto negativo sui prezzi e quindi sulla capacità di spesa e in ultima istanza sul prodotto interno e sull'occupazione.
Il limite di alcuni studi e della teoria standard è senza dubbio rinvenibile nel fatto di non riuscire a considerare in modo compiuto le connessioni tra i vari settori interni interessati direttamente e indirettamente dall'applicazione delle tariffe.
Insomma, non si tratta solo di studiare le contromosse del paese che vendendo tassate le sue esportazioni reagirà applicando a sua volta dei dazi sui beni importati, ma si tratta di cercare di comprendere e studiare tutti gli effetti che l'applicazione di un dazio può portare sviluppando effetti a cascata sui prezzi. In un mondo globalizzato calcolare in modo preciso gli effetti totali è difficile se non impossibile, e semplificare tutto ad un calcolo dei vantaggi e degli svantaggi sulla base dell'esercizio semplicistico che considera due paesi e un unico settore è decisamente riduttivo e fuorviante.
La crisi finanziaria del 2008 ha attivato una forte richiesta di protezionismo che è aumentata in molti paesi occidentali, tendenza particolarmente evidente negli Stati Uniti. Negli anni della prima amministrazione Trump, che aveva proclamato lo slogan America First, ci sono state diverse decisioni dirette a rivedere le logiche di funzionamento del commercio internazionale nei rapporti con i paesi in surplus (Le prime mosse che possiamo ricordare sono l'uscita dal Partenariato Trans-Pacifico e la volontà di rinegoziare il North American Free Trade Agreement).
Ma quello che si dimentica è che i paesi in surplus lo sono perché sono specializzati nella produzione di beni e prodotti in ambiti industriali nei quali i paesi importatori sono meno competitivi. Ed inoltre, quando si parla di dazi si tende a dimenticare che la questione finisce col riguardare solo beni fisici e materiali; tralasciando di valutare l'impatto internazionale relativo alle transazioni dei servizi. Molte imprese statunitensi "esportano" servizi finanziari (banche d'affari che incassano commissioni per fusioni, consulenze e collocamenti) e servizi tecnologici (la gestione delle piattaforme di commercio on line, la gestione dei social e della pubblicità e dei servizi connessi).
In genere la scelta di imporre un dazio dovrebbe essere in parte giustificata dal fatto che il paese che si intende colpire sussidia le sue imprese incoraggiandole ad esportare; in qualche modo i dazi in questo caso risponderebbero a politiche volte a neutralizzare i sussidi diretti (contributi economici) e quelli indiretti che derivano dalle differenti regolamentazioni che ad esempio chiedono e promuovono standard ambientali e sociali più elevati. In questi casi la tariffa cerca di sterilizzare il vantaggio competitivo acquisito dall'esportatore estero in violazione di logiche di corretta concorrenza.
Spesso le tariffe sono applicate ai beni finali quelli, cioè, destinati al consumo, altre volte i dazi colpiscono i beni intermedi che sono impiegati nei processi produttivi, anche grazie al fatto che le imprese nazionali, causa la frammentazione delle catene del valore, per i prodotti tecnologici o complessi non riescono a produrre o reperire in loco tutte le parti finendo con assemblare componenti prodotti all'estero.
Cosa dice l'evidenza empirica?
Alcuni contributi evidenziano che le politiche protezionistiche possono portare ad una riduzione relativa dell'occupazione e ad un aumento dei prezzi alla produzione, con effetti negativi generali. Ad esempio, gli economisti Fajgelbaum e Khandelwal con un lavoro del 2022 analizzano quanto fatto dagli USA dal 2018 quando hanno lanciato una "guerra" commerciale alla Cina. Entro la fine del 2019, gli Stati Uniti avevano imposto tariffe su circa 350 miliardi di dollari di importazioni cinesi e la Cina aveva reagito tassando circa 100 miliardi di dollari di esportazioni statunitensi.
Se la questione viene esaminata da un punto di vista dei prezzi della produzione la soluzione di una guerra commerciale potrebbe avere conseguenze negative per tutti.
Oltre ai problemi interni, già affrontati sopra, i prezzi delle esportazioni statunitensi potrebbero anche aumentare attraverso un accesso più costoso agli input importati e diffondersi ad altri paesi. Infatti, i dazi all'importazione possono far aumentare i prezzi delle esportazioni proprio per la parte di aumento del costo dovuto alla tassazione all'entrata degli input importati; e questo comporta anche un aumento relativo dei prezzi dei beni prodotti all'interno, con ricadute negative sui consumatori che vedono diminuire la propria capacità di acquisto.
Altri studi evidenziano che le PMI spesso subiscono i costi per i dazi peggiorando la competitività già compromessa dalla piccola dimensione; quindi, i dazi all'ingresso di semilavorati o componenti e materie prime possono portare all'aumento della concentrazione industriale, favorendo oligopoli a danno delle piccole e medie imprese e a danno della libera concorrenza.
Altri studi hanno esaminato le dinamiche commerciali innescate dalla Brexit, evidenziando come l'uscita dal mercato comune del Regno Unito, che ha provocato in alcuni settori una sostanziale interruzione del commercio, abbia fatto registrare una riduzione in termini di valore aggiunto sia per le imprese UK che per le imprese di altri paesi dell'Europa.
Il problema, come anticipato, si complica nel caso di dazi applicati ai beni intermedi. La letteratura economica suggerisce che una tariffa a livello di un determinato settore comporta una perdita di PIL che discende da effetti di rete sia diretti che indiretti. Come avviene questa perdita di PIL?
In conseguenza di un prezzo più elevato imposto su un bene intermedio importato, i clienti dell'industria protetta sperimentano un calo della produttività (in termini di minore valore aggiunto per effetto dell'aumento del prezzo del bene incrementato dalla tariffa applicata).
La riduzione del valore aggiunto incoraggia queste imprese a ridurre la produzione (effetto diretto); per recuperare competitività, a loro volta le imprese, aumentano i prezzi dei propri beni. Quindi, anche i clienti di quest'ultime si vedono costrette a pagare un maggior onere (effetto indiretto) e così via a cascata fino ai beni finali acquistati dal consumatore.
In una logica di relazioni input-output si innesca una propagazione a valle dell'intervento iniziale sui primi beni importati con una serie di effetti indiretti che porta alla riduzione del valore aggiunto delle imprese che non riescono a scaricare il maggior onere (perché price taking) sui propri clienti e ad un aumento generale dei prezzi con effetti di compressione della capacità di acquisto anche dei consumatori.
L'entità della contrazione del PIL dipende ovviamente da diversi fattori tra cui: l'importanza del settore colpito per primo; la rilevanza della tariffa (più è alta più l'effetto di perdita del PIL è grande); le interdipendenze interne che si creano nell'uso del bene colpito (in sostanza da quanto sono ampi ed elevati i settori che acquistano il bene intermedio tassato all'entrata); l'elasticità di sostituzione tra la varietà di beni intermedi importati e quelli nazionali.
Inoltre, se le tariffe all'importazione vengono imposte contemporaneamente su più beni e più settori industriali allora la variazione totale netta, e negativa, sul PIL è maggiore
In conclusione, la letteratura economica potrebbe suggerire all'amministrazione Trump di valutare attentamente la scelta di imporre dazi all'importazione per ridurre il deficit commerciale, non solo per le possibili ritorsioni e per la guerra commerciale che potrebbe derivarne, ma anche perché l'effetto dei dazi è decisamente discusso e può attivare processi inflazionistici e perdita di competitività anche nei settori che si intende proteggere.
Per rendere tutto più concreto vediamo qualche dato, vedendo il grafico qui sotto che riporta il saldo della bilancia commerciale mostrando che nonostante sia Trump che Biden abbiano imposto una nuova dottrina commerciale, volta a ridurre il deficit mediante l'imposizione di dazi, la situazione non solo non è migliorata ma è addirittura peggiorata:

Se lo vediamo nel tempo dagli anni sessanta del secolo scorso la linea di tendenza è ancora più chiara, si ci sono alti e bassi ma si comprende che non è con i dazi che si inverte o risolve il problema, ma con politiche industriali serie:

Come reagire alla perdita di competitività e al deficit commerciale? Con idonee politiche industriali che tendono ad agevolare le attività produttive, come: favorire l'innovazione, concedere contributi per le attività di ricerca e sviluppo, detassare i premi di produttività, aiutare le PMI nei processi di patrimonializzazione e di finanziamento, favorire la crescita della qualità del capitale umano, aiutare i processi d'internazionalizzazione delle medie imprese, negoziare buoni accordi internazionali in logiche di reciprocità.