
Accesso domiciliare non autorizzato, ammesso come prova di reato
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 9140 depositata il 5 marzo 2025, ha chiarito che la mancanza o l'irregolarità dell'autorizzazione all'accesso domiciliare prevista dalle leggi di imposta, pur potendo essere causa di invalidità dell'avviso di accertamento, non riverbera i propri effetti nell'accertamento del fatto di reato. Infatti, tale accesso ha natura amministrativa e, pertanto, non è ad esso applicabile la disciplina del codice di rito, tipica delle attività di polizia giudiziaria.
Oggetto di impugnazione davanti alla Corte di cassazione era una sentenza della Corte d'appello di Torino, che aveva confermato la decisione emessa dal Tribunale di Cuneo, che aveva condannato un imputato per il reato ex articolo 4 Dlgs n. 74/2000 perché, nella qualità di socio con quote maggioritarie di una Snc, al fine di evadere l'imposta sui redditi, nella dichiarazione Unico 2013 per l'anno di imposta 2012, indicava un determinato reddito imponibile, per lo più derivante dalla quota di partecipazione, a fronte di un reddito di partecipazione effettivamente conseguito molto più elevato.
Nel successivo ricorso per Cassazione, l'imputato eccepiva, per quanto ci occupa maggiormente in questa sede, che la Corte d'Appello del capoluogo piemontese avesse erroneamente ritenuta valida – e, quindi, utilizzabile - l'attività di indagine effettuata in forza dell'autorizzazione all'uso dei dati acquisiti dalla Guardia di Finanza, nonostante detta autorizzazione fosse limitata ad una persona fisica e non alla società. Si doleva pure dell'errore del giudice di secondo grado nel non aver motivato in ordine all'utilizzo dei dati fiscali acquisiti nello svolgimento delle indagini.
La sentenza
Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte condivide la decisione del giudice di merito, nella misura in cui aveva sancito che la mancanza o l'irregolarità formale dell'autorizzazione all'accesso domiciliare, di cui all'articolo 52 del Dpr n. 633/1972, pur potendo essere ritenuta causa di invalidità dell'accertamento fiscale, non riverberasse i propri effetti sull'accertamento del fatto di reato, posto che all'accesso domiciliare, per la sua natura di attività amministrativa, non è applicabile la disciplina prevista dal codice di rito per le attività di polizia giudiziaria (cfr. Cassazione n. 14278/2022).
Pertanto, le eventuali irregolarità formali dell'autorizzazione all'accesso domiciliare nemmeno si ripercuotono sugli atti compiuti in sede di accertamento e sull'utilizzazione, nella sede processuale, dei dati da essi desumibili.
In ogni caso, conclude la Cassazione, gli elementi raccolti durante gli accessi, le ispezioni e le verifiche compiute dalla Guardia di Finanza per l'accertamento dell'imposta sul valore aggiunto e delle imposte dirette sono sempre utilizzabili quale notitia criminis, in quanto a tali attività non è applicabile la disciplina prevista dal codice di rito per l'operato della polizia giudiziaria, sicché la mancanza o l'irregolarità formale dell'autorizzazione, se è causa di invalidità dell'accertamento fiscale, non riverbera i suoi effetti sull'accertamento penale (cfr. Cassazione n. 6798/2015 e n. 12017/2007).
Osservazioni conclusive
La Suprema Corte ribadisce un proprio orientamento consolidato, con cui già aveva avuto occasione di chiarire la distinzione, per così dire, "ontologica" fra accertamento tributario e procedimento penale.
Difatti, il procedimento penale, come noto, è regolato dal codice di procedura penale, che richiede il rispetto di precise regole giuridiche; diversamente, l'accertamento tributario, in quanto attività amministrativa, è soggetto ad altre regole, come l'articolo 52 n. Dpr 633/1972, che dispone che gli impiegati dell'Amministrazione finanziaria possono accedere ai locali destinati all'esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali ma "devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell'ufficio da cui dipendono".
Qualora detta autorizzazione manchi, tra l'altro, le implicazioni per l'attività impositiva erariale non sono necessariamente preclusive.
Difatti, come chiarito fin da giurisprudenza più risalente (ad esempio Cassazione n. 3388/2010), non esiste nell'ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, sicché (spiega una più recente sentenza della Suprema Corte, la n. 7293/2020) "l'acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale non comporta l'inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso; tuttavia, l'utilizzazione a fini fiscali di dati e documenti acquisiti dalla Guardia di finanza operante quale polizia giudiziaria è subordinata al rispetto delle disposizioni dettate dalle norme tributarie (nella specie, dell'articolo 33 Dpr 600/1973 e degli articoli 52 e 63 Dpr 633/1972), fatti salvi, in ogni caso, i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico, come ad esempio la necessità di preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prevista dalle citate disposizioni tributarie, per procedere a determinate attività, quali l'accesso presso l'abitazione privata del contribuente (ex pluris, Cassazione n. 673/2019, n. 13711/2018)".
Quindi, l'inutilizzabilità della documentazione reperita durante un accesso si riverbera sull'accertamento tributario solo se tale conseguenza viene prevista dalla legge, come nel caso di accesso domiciliare non autorizzato dal Pm, ma non si estende al procedimento penale e, dunque, il materiale probatorio reperito ben può porsi a fondamento di una condanna, come nel caso di specie, per dichiarazione infedele, ex articolo 4 Dlgs n. 74/2000.
Da Fisco Oggi