In relazione agli accertamenti basati sulle indagini finanziarie, la quinta sezione civile della Cassazione, con l'ordinanza n. 24402 del 5 agosto 2022, ha ribadito che vi è un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, in ambito sia di imposte dirette sia di Irap che di Iva. Inoltre, ha chiarito che la presunzione legale "relativa" della disponibilità di maggior reddito è estendibile alla generalità dei contribuenti, e non solo ai titolari di reddito di impresa o lavoro autonomo.
La normativa di riferimento
L'amministrazione finanziaria, tra i suoi poteri, per l'adempimento dei propri compiti, può richiedere agli istituti di credito dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto o a operazioni effettuate con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi (articolo 32, primo comma, numero 7), del Dpr n. 600/1973; articolo 51, secondo comma, numero 7), del Dpr n. 633/1972).
Tale richiesta deve essere preventivamente autorizzata dal direttore centrale dell'Accertamento dell'Agenzia delle entrate o dal direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della Guardia di finanza, dal comandante regionale.
La vicenda processuale
L'amministrazione finanziaria, in seguito a un'attività istruttoria basata sulle indagini finanziarie, aveva emesso e notificato un apposito avviso di accertamento nei confronti di un amministratore di condominio, con il quale erano stati determinati un maggiore reddito da lavoro autonomo e un maggiore valore della produzione ai fini dell'Irap, e le movimentazioni oggetto di contestazione erano state considerate come operazioni imponibili ai fini dell'Iva (articolo 39, comma 2 del Dpr n. 600/1973).
Nel corso dell'attività istruttoria erano stati chiesti chiarimenti e giustificazioni relativamente alle esaminate movimentazioni dei conti correnti direttamente riferibili al contribuente, ma lo stesso non era stato in grado di fornire adeguate delucidazioni. Pertanto, l'amministrazione finanziaria aveva emesso l'avviso di accertamento contestando l'esistenza di operazioni non giustificate, dopo aver confrontato i dati desumibili dai rendiconti delle gestioni condominiali, forniti dall'amministratore, con i movimenti sui conti a lui riferiti o intestati direttamente alle singole amministrazioni condominiali, escludendo i movimenti riconducibili alle quote condominiali e quelli riguardanti le spese sostenute per la gestione dei condomini.
Il contribuente ha presentato ricorso, contro il suddetto avviso, alla Commissione tributaria provinciale di Firenze, la quale però, condividendo l'operato dell'ufficio accertatore, lo ha rigettato.
In secondo grado di giudizio, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha parzialmente accolto l'appello del contribuente, osservando che l'amministrazione finanziaria, tenendo conto anche della sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale, aveva correttamente determinato i ricavi ai fini dell'Irpef e dell'Irap, in base alle movimentazioni non adeguatamente giustificate, mentre ha censurato la quantificazione delle maggiori operazioni imponibili ai fini dell'Iva. La Ctr, a tal proposito. ha osservato che, anche ai fini Iva, l'ufficio accertatore avrebbe dovuto considerare i soli versamenti non giustificati, in quanto relativi a compensi non fatturati, mentre per quanto riguarda i prelevamenti, l'ufficio avrebbe dovuto provare che erano stati utilizzati per produrre ricavi non fatturati.
Questo in quanto, relativamente ai prelevamenti, non sarebbe applicabile la presunzione legale relativa.
La pronuncia della Corte
Dalla lettura dell'ordinanza in esame, si rilevano alcuni elementi essenziali.
In particolare, quando l'Agenzia delle entrate fonda l'accertamento sulle indagini finanziarie, l'onere probatorio dell'amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti comunicati dall'istituti finanziari e di credito, determinandosi un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente (articolo 32 del Dpr n. 600/1973). L'amministratore di condominio avrebbe dovuto fornire una prova analitica per ogni versamento bancario, e non una semplice prova generica, al fine di dimostrare che gli elementi riscontrati dalle movimentazioni bancarie non erano riferibili a operazioni imponibili e conseguentemente privi di rilevanza fiscale.
L'inversione dell'onere della prova vale anche in tema di Iva, infatti, per superare la presunzione di imponibilità delle operazioni desunte dalle movimentazioni bancarie, spetta al contribuente, ai sensi dall'articolo 51, secondo comma, numero 2, del Dpr n. 633/1972, dimostrare che tali operazioni non siano imponibili Iva.
La presunzione legale è riferibile alla generalità dei contribuenti, e non solo ai titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, come desumibile dall'articolo 38 del Dpr n. 600/1973, riguardante l'accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso articolo 32, comma 1, n. 2.
Essendo una presunzione legale "relativa", la stessa è superabile se il contribuente riesce a dimostrare che le movimentazioni bancarie oggetto di analisi sono state già considerate per determinare il reddito complessivo oppure che le stesse sono fiscalmente irrilevanti.
Quindi, si può concludere che:
- vi è un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente
- l'onere della prova verte anche in tema di IVA, ovvero il contribuente deve dimostrare che tali operazioni non siano imponibili Iva
la presunzione legale relativa della disponibilità di maggior reddito è estendibile alla generalità dei contribuenti, e non solo ai titolari di reddito di impresa o lavoro autonomo. da fisco oggi.